Introduzione: “risciacquare i panni… in via Jervis”

Ogni volta che arrivo a Ivrea e entro in via Jervis dalla rotonda che collega l’autostrada alla città ho sempre l’impressione di mettere un piede nella storia dell’imprenditoria italiana. Succede ogni volta. E ogni volta che riparto da lì, in senso metaforico e non, mi sembra che gli insegnamenti di Olivetti sul tema dell’umanità in azienda siano attuali più che mai. Arrivo a Ivrea per intervistare Alberto Zambolin, imprenditore, manager di multinazionali e amico. Ci sono alcuni aspetti di Alberto che rendono l’intervista particolarmente interessante, data la sua esperienza diretta sul campo su come l’umanità si declini in modo diverso a seconda della dimensione delle aziende.

Via Jervis a Ivrea mi fa tornare in mente l’Arno, il fiume che attraversa Firenze. Sono accomunati dal fatto che, un tempo, sono stati luoghi di rilancio culturale. Lo è stata Firenze per la lingua italiana quando Alessandro Manzoni vi si recò a “risciacquare i panni in Arno” per l’ultima revisione dei “Promessi Sposi”. Egli riconosceva nel dialetto fiorentino il modello linguistico ufficiale per l’Italia unita. Via Jervis, invece, testimonia ancora oggi che si può fare impresa mettendo l’uomo al centro e rispettandone la dignità. Adriano Olivetti come il dialetto fiorentino. “Risciacquare i panni… in via Jervis” significa confrontarsi con Adriano e con quello che ha realizzato. Partendo dalla “Fabbrica dai mattoni rossi”, costruita nel 1896 da Camillo Olivetti, il luogo dove tutto ebbe inizio, e continuando lungo i quattro ampliamenti in vetro e acciaio disegnati dagli architetti Figini e Pollini, a partire dal 1934, non si può restare indifferenti di fronte alla maestosità del progetto industriale e domandarsi se nella nostra azienda stiamo agendo nel modo giusto: umanamente.

Un eporediese a confronto con la Olivetti

Alberto Zambolin

Alberto è eporediese, cioè “cittadino di questa bella città di Ivrea” ed è un imprenditore nel settore della comunicazione e dell’informazione. La sua origine dovrebbe rendere le cose più semplici. Invece non è così. “Può sembrare strano ma non è affatto scontato che chi nasce a Ivrea conosca la storia di Adriano Olivetti”, ammonisce Alberto. “Quando andavo a scuola nessuno l’ha mai insegnata”. E ci racconta la sua storia .

Da bambino pensa che la Olivetti sia un produttore di olive. Un produttore di olive che ogni giorno gli porta via il papà e la mamma quando alle due e mezzo la sirena della Fabbrica richiama al lavoro gli eporediesi che sono andati a casa a pranzo. Crescendo conosce la dimensione comunitaria della fabbrica: le attività sportive, il welfare, i regali di Natale. (Anche se nessuno ha raccontato o insegnato la storia di Adriano Olivetti sono convinto che solo il fatto di aver respirato l’aria della Fabbrica sia stato come ricevere un imprinting nda).

Al termine dell’Università Alberto si trasferisce a Londra, la città della finanza, l’antitesi dei valori di Adriano Olivetti, dove lavorerà per quattro anni. Il primo lavoro dura un anno e mezzo. Preferisce costituire una società in campo finanziario con un amico. Ha 24 anni, vuole fare esperienza e scopre che gli piace lo spirito di intraprendenza e di libertà che un imprenditore deve avere.

Tornato in Italia fa due importanti esperienze a Milano nel settore dell’informazione ai mercati finanziari. Entra in Dow Jones Markets Italia fino a diventarne amministratore delegato, e poi è manager ne Il Sole 24 ORE con l’incarico di svilupparne la piattaforma digitale. Quella milanese è una parentesi. Nel 2002 rientra a Ivrea. Nel 2003 risponde al richiamo dell “imprenditore” e costituisce Message. L’esperienza imprenditoriale londinese gli è servita, ha imparato cosa vuol dire fare l’imprenditore, sa quali errori si possono commettere e cerca di non ripeterli. Così comincia la storia.

“Buongiorno, sono Adriano Olivetti…”

È Marco Peroni che presenta Adriano Olivetti ad Alberto. Scrittore, performer e profondo conoscitore di Olivetti, Marco affascina Alberto con la sua straordinaria capacità narrativa. È quasi una folgorazione. Alberto approfondisce la storia di Adriano. “Conoscere Adriano Olivetti inevitabilmente mi ha costretto ad approfondire quello che stavo facendo come imprenditore. E come ogni imprenditore, quando mi venivano dei dubbi sulle scelte da fare o su come dovevo affrontare un dilemma o valutare se la strada intrapresa era giusta mi rivolgevo, metaforicamente, ad Adriano che aveva dimostrato che si può gestire un’impresa trasformando un’utopia in realtà”.

L’umanità comunitaria e pragmatica di Alberto Zambolin

L’umanità non è una dimensione universale. L’esperienza di vita inevitabilmente agisce sui nostri comportamenti e così l’umanità diventa un crogiuolo di sfumature pur mantenendo gli elementi comuni essenziali. L’idea di umanità di Alberto si distingue per la sua sfumatura pragmatica.

“In linea generale, siamo in presenza dell’umanità quando entriamo in contatto con la parte più profonda di una persona. È una condizione che si verifica quando la razionalità viene “imbrigliata” dai sentimenti e dall’emotività che, appunto, favoriscono l’”entrare in contatto”. L’umanità “impone” che in azienda si cerchi di capire le persone, trattandole come individui singoli con esigenze personali specifiche. Il contraltare sono i modelli organizzativi dove prevale la razionalità. L’umanità intesa come prendersi cura di qualcuno, nei tempi e nei modi che richiede, è importante perché è il punto di equilibrio tra il valore dell’individuo, con le sue specifiche esigenze, e il percorso personale che ognuno fa per mettersi in relazione con gli altri e la comunità”.

Alberto sottolinea spesso come la dimensione comunitaria sia il luogo dove l’umanità deve essere mediata tra interesse personale e interesse collettivo. Alberto non ha esitazioni.

“Tutti abbiamo sperimentato la difficoltà a mantenere relazioni umane nei contesti più grandi e allargati. Sia che si chiamino città o che si chiamino azienda sono sempre delle comunità che, crescendo, in generale, fanno perdere la relazione diretta tra le persone. Calare l’umanità in una comunità piccola è sicuramente più semplice perché puoi gestirne l’impatto sulle singole persone e le operazioni di ascolto sono più efficaci per lo stesso motivo. Tuttavia, l’interesse individuale trova, inevitabilmente, il suo limite nell’interesse della comunità. In questo caso pur ascoltando le istanze più che legittime dell’individuo la risposta può essere negativa. Quindi la comunità di maggiori dimensioni sacrifica una parte di umanità per rispettare norme, regole e processi che non sono assolutamente facili da gestire ma che sono la garanzia di salvaguardia della comunità”.

Il modello di gestione umano di Message

L’idea di Alberto, quando costituì Message, era di formare una comunità basata sulla condivisione di valori e sulla fiducia reciproca. Una governance “leggera”, e burocrazia e gerarchia ridotte al minimo erano il presupposto affinchè i processi decisionali fossero quasi tutti partecipati. I valori condivisi sono l’impegno, l’integrità morale e lavorativa e soprattutto il rispetto per la comunità. Sono i valori trasmessi dal padre e dalla madre, lavoratori della Olivetti. Ma la più importante delle dimensioni che Alberto ha portato in Message era il lascito dell’esperienza nelle multinazionali: “la volontà ferma di rifuggire alle anomalie e alla inumanità che si incontrano quotidianamente”.

Lo spirito infantile, la presenza e il cuore sono le dimensioni che Alberto indica come le più importanti per creare un ambiente lavorativo umano. Lo spirito infantile è quello che ci fa guardare al mondo con curiosità e sorpresa, e, perché no, un pizzico di ingenuità. La presenza, soprattutto oggi, dopo due anni di isolamento pandemico, è una dimensione essenziale. Il contatto fisico e l’empatia sono pilastri di ogni relazione. Il cuore, infine, perché il mondo va letto, almeno in parte, con la passione e la volontà di andare alle volte oltre la razionalità. “Se mettiamo tutto dentro schemi da business management, perdiamo il lato bello del lavoro”.

Ma l’umanità non può essere tale senza la felicità, il coraggio e la famiglia. La declinazione delle parole sono la testimonianza della capacità di Alberto di calare l’umanità in senso più pragmatico. Sì perché la felicità del lavoro è da intendersi come la capacità di realizzare se stessi; la famiglia, nel senso di persone care con cui aver relazioni stabili forti, non è solo “casa” ma anche “lavoro”; il coraggio, infine, perché l’umanità è talmente fuori dagli schemi che ci vuole coraggio per perseguirla e affermarla. Diffondere l’umanità in azienda è un processo che trova il suo limite nel fatto che è un tributo personale. Nessuno ha l’umanità in tasca. E, soprattutto, ognuno ha il proprio concetto di umanità. Quello che si può fare, secondo Alberto, è portare in azienda la propria umanità, buttarla in un crogiuolo comune e cercare di farla crescere davvero.

La visione ha un tratto comune con quella di tanti altri imprenditori: le persone, i collaboratori, sono selezionati sempre guardando più ai loro valori che alle loro competenze. “Le competenze si sviluppano lavorando in casa con buona volontà e buoni maestri”.

Dario Mezzaqui

Dario Mezzaqui

Riccardo Taverna: “in questo viaggio alla scoperta di Alberto Zambolin imprenditore bisogna parlare di una persona che nella tua vita sia personale sia lavorativa ha ricoperto e ricopre tuttora un ruolo fondamentale: Dario Mezzaqui”.

Alberto Zambolin: “Tocchi un tasto importante perché sono trent’anni che lavoriamo insieme. È una persona che ha partecipato, è stato causa, motivazione e artefice di tutto quello che abbiamo realizzato insieme in tre decenni.

Riccardo Taverna: “Cosa vuol dire per un imprenditore avere un compagno di strada come Dario?”

Alberto Zambolin: “Usciamo dalla narrazione per cui l’imprenditore è una persona sola. Ha bisogno di confronto ogni qualvolta deve prendere le tante decisioni, non sempre piacevoli. Riuscire a farlo con chi ha condiviso esperienze, con chi ha gli stessi valori, la stessa visione e, soprattutto, allo stesso tempo la capacità critica di dire cosa va e cosa non va, è fondamentale.

Riccardo Taverna: “Se non vi è foste incontrati?”

Alberto Zambolin: “Senza di lui non saremmo, penso entrambi, dove siamo oggi, soddisfatti della nostra vita

Riccardo Taverna: “Conosco pochi imprenditori che hanno portato avanti un progetto per trent’anni…”

Alberto Zambolin: “Ne conosco pochi anch’io, mentre conosco tanti imprenditori che si lamentano di non avere un contraltare, qualcuno con cui potersi confrontare, quindi, sì sono fortunatissimo”.

Successo e umanità

L’umanità con realismo e la capacità di esecuzione sono tra gli elementi che determinano il successo dell’azienda. Il realismo è una dimensione fondamentale del management. La mancanza di realismo, prima di tutto, fa sbagliare gli obiettivi. Ci sono ancora troppi visionari, grandi sognatori che non sanno come affrontare l’implementazione di un progetto.

L’umanità e la capacità empatica sono dimensioni importanti per riuscire a muovere le leve giuste per motivare tutti, soprattutto nelle fasi di Startup.

Il Quinto Ampliamento

I racconti di Marco Peroni hanno spinto Alberto oltre la sfera personale. Partendo dalle risposte pratiche che Adriano è riuscito a dare sul suo modo di fare impresa Alberto si è chiesto se le risposte potevano essere ancora attuali e utili.

Riccardo: “Come nasce l’idea del Quinto Ampliamento?”.

Alberto: “Nasce da una serie di riflessioni e constatazioni. La prima è che la storia di Adriano Olivetti non veniva raccontata nelle scuole di Ivrea. Inoltre, le riflessioni sul suo modo di fare impresa mi hanno portato a pensare di creare un luogo dove imprese, ed enti del terzo settore potessero aprire una riflessione su come fare impresa nel 2022 tra sostenibilità e umanità. È così che è nato il “quinto ampliamento”, un’estensione della Fabbrica che sostituisse la dimensione architettonica con quella valoriale”.

Riccardo: “Come è cambiato il Quinto Ampliamento in questi anni?”

Alberto: “Da statuto avevamo detto che doveva essere un’associazione di società e associazioni no profit. Oggi si sta delineando come una comunità che veramente vuole riflettere su come fare impresa. Penso che molti dei partecipanti siano imprenditori soli che hanno bisogno di confrontarsi. Il Quinto Ampliamento non cade nell’equivoco di rimpiangere il passato né di volersi attaccare a una tradizione ormai superata. Mi sembra invece che viva molto nel presente e nell’attualità e sta facendo dell’innovazione la sua bandiera. Penso che oggi appartenere al Quinto Ampliamento sia un valore”.

L’attualità della Olivetti

Oggi Alberto Zambolin è indubbiamente uno degli imprenditori più attivi nella conservazione del lascito di Adriano Olivetti e dei suoi luoghi. Con Andrea Ardissone, nel 2017, costituisce Icona con l’obiettivo di acquistare la Fabbrica di mattoni rossi di Camillo Olivetti. Riescono ad aggregare 20 soggetti che hanno condiviso la visione e il sogno di riportare i luoghi olivettiani nuovamente a riferimento internazionale nell’interpretare i cambiamenti economico-sociali e il prossimo futuro che ci attende. La Fabbrica dei mattoni rossi tornerà ad essere un riferimento internazionale dell’innovazione e della responsabilità sociale.

Terminata l’intervista attraversiamo la fabbrica. Alberto quasi assorto nei suoi pensieri racconta: “Ogni tanto passeggio in queste fabbriche e rifletto su un’infinità di cose. Poi comincio a immaginare chi lavorava in questi luoghi, qual era l’ufficio di mia madre e dov’era l’ufficio di Adriano. Ti lasci prendere dalle circostanze e dal luogo e sogni quello che era stato per provare ad immaginarlo. Essere anche noi qui con la nostra azienda, seppur piccola, dentro le stesse mura che hanno fatto la storia di un modello imprenditoriale, dà già molto senso per alzarsi tutte le mattine e venire a lavorare”.