Giorgio Santambrogio è un manager che ha il “vezzo” di spiazzare. Non è un “vezzo” fine a sé stesso, quanto il talento di un raffinato comunicatore con idee avanguardistiche che tendono a scardinare lo “status quo”. Non a caso nel 2022 è stato nominato il miglior comunicatore B2C dal Club del Marketing e della Comunicazione, un’associazione che vanta oltre 42.000 manager iscritti. Ritirando il premio Santambrogio, Amministratore Delegato del Gruppo VeGe e Vicepresidente Vicario di Federdistribuzione, ha commentato “Il ruolo della comunicazione ha assunto oggi un’importanza notevole: le parole sono alla base di ogni relazione e, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo realizzato quanto un loro uso ragionato sia importante (…)”. Un’affermazione profonda di un uomo che non è mai banale.

Giorgio Santabrogio, amministratore delegato Gruppo Vegé

Proprio nel 2022, nel corso di un talkshow, Santambrogio fa una riflessione dirompente. Parlando dei modelli di distribuzione dichiara che “non è vero che il cliente ha sempre ragione”. Una breve pausa per far sedimentare il concetto, quindi l’affondo: “il cliente ha ragione fino a quando per soddisfare le proprie esigenze non intacca i diritti dei lavoratori”. E sottolinea che lo dichiara sia come Vicepresidente Vicario di Federdistribuzione che come Amministratore Delegato del Gruppo VeGe. L’affermazione è la sintesi di una visione moderna, forse troppo, del rapporto tra impresa e lavoro. “Qualsiasi relazione va gestita con umanità. Non importa se si tratta di rapporti aziendali gerarchici, rapporti amicali o rapporti di coppia, bisogna pensare due volte prima di parlare perché la modalità con cui si dice qualcosa può ferire una persona. E la ferita rimane”. È quello che Santambrogio definisce l’approccio morbido per gestire le relazioni.

Gli inizi – “Ho avuto la fortuna di fare ciò che desideravo”.

Santambrogio si forma all’Università Bocconi negli anni 80, quando l’ateneo era un punto di riferimento universalmente riconosciuto, sia a livello nazionale che a livello internazionale, per gli studi di economia. La sua passione è l’insegnamento. Per Santambrogio il senso dell’insegnare è condividere conoscenza, commentarla indifferentemente con manager o giovani studenti, discutere di visioni. Dopo la laurea, quindi, rimane nell’ateneo milanese per i quattro anni successivi. In quel periodo insegna, è tutor al Master Internazionale sul Retail e lavora al Centro Studi sul Commercio dell’Università Bocconi. Per fare quadrare il bilancio Santambrogio entra in azienda mantenendo l’incarico universitario. È in questo contesto che sviluppa la piena consapevolezza del senso di responsabilità necessario per gestire un’impresa. Da poco entrato in azienda deve affrontare proprio quel piano marketing che insegnava da alcuni anni. Di fronte al “foglio bianco” prende coscienza della differenza tra il raccontare in un’aula come fare un piano strategico e il realizzarlo dovendo gestire risorse economiche, persone, riferire a un consiglio, capire il ritorno sull’investimento.

Santambrogio, che non ha mai aspirato a diventare un imprenditore, trova conferma di quanto, invece, abbia il “passo” del manager. Come manager, infatti, può gestire il rischio libero da qualsiasi coinvolgimento personale. Così le energie di Santambrogio si liberano.

L’umanità “l’ascolto è prerequisito della comprensione e dell’agire coerente”

Il suo approccio all’umanità non è ideologico. Partiamo dalle parole dello psicologo inglese Bowlby, non a caso messe al vertice del progetto “Sulle tracce di Adriano”. Bowlby spiega che l’umanità “consiste innanzitutto nell’essere disponibili e comprensivi come e quando richiesto e, in secondo luogo, nell’intervenire ragionevolmente non appena la persona di cui ci si sta prendendo cura si trovi in difficoltà”.

“È una definizione complessa perché bisogna entrare in contatto profondo con la persona e comprendere le esigenze e le modalità con cui rapportarsi. È una definizione che mi piace molto perché introduce il concetto di un’intelligenza emotiva sociale, lo strumento di contatto con la persona, per comprenderne le esigenze e quindi interfacciarsi coerentemente”. Il confronto con Santambrogio mette in luce alcune sfumature inedite dell’umanità.

Lo specchio attraverso il quale Santambrogio analizza e approfondisce le dimensioni dell’umanità è il pragmatismo. Nessun respiro ideologico, abbiamo detto, solo il posizionamento dell’umanità e il complesso equilibrio tra i due estremi, utopia da una parte e l’erosione del valore dall’altra.

Le dimensioni della famiglia e della felicità sono le più controverse. La felicità è una dimensione complessa in azienda, per Santambrogio un’utopia se la si correla al solo livello reddituale. Perché, oltretutto, per la teoria degli incrementi marginali, di anno in anno chiunque vuole raggiungere risultati migliori. Ciò accade anche per la felicità? Santambrogio cerca di coglierne il perimetro: “Non so se si può chiamare felicità, ma la soddisfazione di svegliarsi ogni mattina e esultare metaforicamente perché sto seguendo dei progetti che mi piacciono e sentirsi realizzato è una sensazione bellissima. La soddisfazione è anche l’idea che ti viene mentre sei in vacanza. La annoti e quando torni la condividi con il tuo staff. La realizzi ed è vincente. Se la somma di queste caratteristiche definisce il concetto di felicità in azienda, ci può stare”.

Così come la felicità, anche l’ambiente familiare è un’utopia. Ci sono tante contrapposizioni in azienda, in qualsiasi tipo di azienda: marketing contro commerciale, acquisti contro amministrazione, produzione contro vendite. Sono contrapposizioni strutturali tra funzioni che hanno obiettivi differenti. I conflitti in azienda sono tanto presenti quanto lo sono in famiglia: non occorre spaventarsi o farne un dramma. Occorre solo gestirli con saggezza. La vera differenza la fanno gli “orticelli”, luoghi di potere decentrati che incidono sul benessere aziendale.

L’ascolto è una condizione senza la quale non si può pensare che un’azienda sia felice. L’ascolto è la precondizione per comprendere l’interlocutore e, di conseguenza, agire coerentemente. Se poi la modalità d’ascolto è completato dall’approccio “morbido” l’efficacia è massima.

Una battuta sull’organigramma piatto: non nasce per avere un modello organizzativo più umano, ma è umano perché è piatto.

Il padre“A mio padre devo tutto”

Quando Santambrogio parla della famiglia, inevitabilmente si arriva a parlare del padre Franco. Ne parla con profondo affetto, testimonianza di un legame profondo. Impiegato presso la IBM, la grande mamma per chi vi lavora. Franco si impegna sempre oltre i limiti per garantire ai figli di frequentare l’università. È un esempio incredibile per Giorgio che assimila il valore della fatica, del non tirarsi mai indietro e, soprattutto, di fare le cose dando qualcosa in più rispetto all’obiettivo che ci era stato posto o che ci eravamo imposti.

L’umanità della filiera

Quella di Santambrogio è la storia di un manager che ha percorso i sentieri del retail. E la sua visione, mettere in discussione il rapporto impresa/cliente, va tenuta in considerazione per poter affrontare il futuro con maggiore consapevolezza.

Gruppo Vegé, 32 aziende con oltre 3000 punti vendita (clicca sulla immagine per accedere al profilo Vegé)

“La mia sensazione è che stiamo arrivando a un parossismo nell’assecondare il cliente: lo coccoliamo, troppo. Secondo me stiamo arrivando ad un’economia di mercato nel quale si vizia un cliente pur di trattenerlo o di strapparlo alla concorrenza. Così come non si fa del bene a viziare un figlio, così non si fa del bene a viziare un cliente. In questo caso, non si fa bene alla filiera perché si vanno a ledere i valori della filiera a monte e a valle”. Faccio un esempio semplice, ma evocativo. E’ inverno, ma supponiamo che un cliente voglia improvvisamente delle ciliegie, ovviamente le vuole di qualità e, sa va sans dire, abbiano un prezzo basso. In più, per vezzo, vuole assecondare un commensale durante una cena in casa e quindi le desidera subito e di sera. Beh, analizzando la filiera, le ciliegie vanno comprate all’estero, impattando in primis pesantemente sulle emissioni di CO2 del trasporto. Certo, la qualità deve essere intrinseca, ma è il prezzo basso che mette la filiera sotto stress. Non solo, ma anche le modalità del Q-Commerce, se non gestite con correttezza, potrebbe aumentare le tensioni Quindi, ribadisco con molta deliberata semplificazione, per esaudire il desiderio di un cliente, qualcuno lungo la filiera, più spesso l’anello più debole del lavoratore potenzialmente sfruttato, vede comprimere i suoi diritti”

“Il vezzo di ricevere i prodotti a casa sta imponendo il concetto di Q-commerce in cui la sfida è la consegna il prima possibile, senza considerare l’impatto su chi lavora lungo tutto il processo. Sono convinto che il settore debba cominciare a riconsiderare i valori del rapporto con il cliente. Se c’è una rottura di stock, se c’è un servizio di consegna, se c’è un fuori orario il prezzo deve adeguarsi. Perché non si può strozzare la filiera”.

La filiera è un tema che emerge costantemente nel corso dell’intervista. Tanto che in alcuni momenti si ha l’impressione che non ci sia un confine tra filiera e azienda. La filiera va rispettata e tutelata, così come vanno tutelati i diritti dei lavoratori, “prima di quelli del cliente viziato”, afferma convinto Santambrogio .