Prima leggi: la rivoluzione dell’inclusione parte dalla pizza, anzi, dalla Pit’sa. (Clicca qui)
Otto ragazzi a Bergamo e cinque a Milano. È la formula di Pit’sa, che si legge pizza, e ti sta dicendo che stai entrando in un luogo diverso e allo stesso modo normale. I ragazzi di Giovanni hanno la sindrome di Down e lavorano con sorprendente entusiasmo ed efficienza. “Tutte le mattine arrivano puntualmente con 15 minuti di anticipo, hanno un entusiasmo contagioso e credono nel loro lavoro”. Lavorare con i ragazzi con sindrome di Down da una soddisfazione incredibile. “Ci carichiamo di energia parlando e lavorando con loro“. La prima sorpresa è il momento della firma del contratto. Oggi far firmare un contratto a un ragazzo “normodotato” è un atto dovuto. Lo stesso contratto firmato da un ragazzo con la sindrome di Down è un orgoglio personale. Mentre firmano il contratto si commuovono, lo sollevano come se avessero vinto una coppa. Lo alzano in aria affermando, “ho un contratto, grazie”.

Ai clienti che incontrano raccontano del contratto: di come lo leggono e lo firmano. E, sorpresa, non vedono l’ora che il contratto scada. Così avranno il rinnovo. E un nuovo contratto da leggere e da firmare. “Hanno un’energia fuori dal comune e sono loro che la passano a noi. Arrivano e partono a lavorare. Non perdono tempo e non sanno cosa sia la fatica. O meglio, lo sanno ma l’orgoglio e la felicità che provano fa scomparire qualsiasi ombra di stanchezza”.
Sono le storie di vita quotidiana. Sono le storie che fanno comprendere come inclusione e profitto possono coesistere.
A Bergamo Giovanni si è trovato ad affrontare una protesta totalmente inaspettata. Aveva appena annunciato che i locali sarebbero stati chiusi il 25 dicembre e il 1 gennaio quando una delegazione di ragazzi con sindrome di Down si è presentata a Giovanni protestando per la chiusura. “Dobbiamo continuare a fatturare…“ Ripetevano seri e convinti, “non possiamo chiudere”. “Non volevano che chiudessi perché in altre occasioni, in altri ristoranti un ristoratore che licenziava si proteggeva dietro la scusa dell’imprenditore che licenziava era che non stava fatturando”.
In un’altra occasione, Giovanni stava chiaccherando con uno dei ragazzi. Mentre parlavano entro’ una famiglia: madre, padre, due figli, il più piccolo con la sindrome di Down. Il ragazzo guardò Giovanni e gli disse: “lo vedi quel bambino che è entrato che la sindrome di Down come me? Pensi che un giorno possa venire a lavorare in Pit’sa? Gli insegno io quello che deve imparare e poi lavoriamo insieme”.
In questo mondo creato da Giovanni e Valentina lo straordinario diventa normalità. Si perché Giovanni non fa differenze tra sindrome di Down e normalità. Tutto è normalità. Come i principi che il padre gli ha passato con l’esempio: lavorare duro, rispettare il prossimo. Due principi che trovano la loro sintesi nel valore dell’autenticità, il catalizzatore di energie. Perché, come dice spesso, non ci può essere umanità senza autenticità. Questi sono Giovanni e il progetto Pit’sa.
Dimenticavo, la pizza, quella scritta con due “z” è molto buona.
