Giuseppe Lupo, scrittore e docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, è un punto di riferimento nel contesto dell’analisi dell’esperienza di Adriano Olivetti. È qui che esplora il legame tra umanesimo e impresa nel progetto culturale e industriale di Adriano Olivetti. Il cuore del pensiero di Giuseppe Lupo è che Olivetti non fu soltanto un imprenditore visionario, ma anche un promotore di una nuova idea di civiltà, in cui la fabbrica diventa laboratorio di cultura, etica, comunità.

Professor Giuseppe Lupo

Giuseppe Lupo ci mostra come intorno a Olivetti si raccolsero intellettuali, scrittori e poeti (come Fortini, Volponi, Sinisgalli, Vittorini), i quali contribuirono a un’impresa che coniugava lavoro e bellezza, produzione e poesia, tecnica e spiritualità. La letteratura, in questo contesto, non era evasione ma strumento per umanizzare il lavoro e immaginare un futuro più giusto.

L’idea di Giuseppe lupo è che la cultura può essere infrastruttura sociale e industriale, capace di incidere sulla forma della fabbrica e sul destino delle persone che la abitano. È un manifesto per ripensare il ruolo dell’intellettuale e della parola scritta nei luoghi della produzione contemporanea. (Tratto da: “La letteratura ai tempi di Olivetti” – Giuseppe Lupo).

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“Sulle tracce di Adriano (Edvige della Torre, Riccardo Taverna)”: come nasce il tuo interesse verso la figura di Olivetti?

“Professor Giuseppe Lupo”: è avvenuto lungo due direttrici. Innanzitutto, attraverso la mia tesi di laurea dedicata a Leonardo Sinisgalli, poeta e ingegnere lucano, figura singolare nel panorama del Novecento italiano. Sinisgalli fu uno dei primi intellettuali chiamati da Olivetti a dirigere l’Ufficio Pubblicità Tecnica a Milano nel 1938. Questo incontro tra cultura umanistica e impresa mi ha incuriosito profondamente.

La seconda via è più biografica: sono nato in Lucania, una terra che ha avuto legami storici significativi con la visione olivettiana. Olivetti contribuì a rivalutare Matera, opponendosi all’abbattimento dei Sassi e sostenendone la riqualificazione. Il villaggio La Martella, progettato da architetti vicini a Olivetti, ne è un esempio concreto. Era un’idea di modernità che rispettava le forme di vita tradizionali e i valori antropologici del territorio.

Il Professore Giuseppe Lupo con la sua inseparabile Olivetti Lettera 22

“Sulle tracce di Adriano”: Era una visione che mirava a una transizione senza fratture, no?

“Professor Giuseppe Lupo”: Esattamente. Olivetti aveva una concezione della modernità non come rottura, ma come continuità. La Martella non era solo un insediamento abitativo, ma un esperimento sociale, costruito per conservare l’etica del vicinato e la struttura comunitaria dei Sassi, pur introducendo elementi innovativi.

“Sulle tracce di Adriano”: E oggi, secondo te, che ruolo possono avere scrittori e intellettuali in questo dialogo tra impresa e cultura?

“Professor Giuseppe Lupo”: Gli intellettuali devono impegnarsi a conoscere direttamente il mondo produttivo. Troppo spesso scrivono per stereotipi o per sentito dire. Ho recentemente curato la postfazione di una sceneggiatura inedita di Moravia commissionata da Pirelli nel 1947. Moravia scrive una storia legata alla periferia romana, ma priva di una reale comprensione della specificità milanese. È un esempio emblematico di come si possa fallire nel racconto industriale senza esperienza diretta.

“Sulle tracce di Adriano”: Anche le imprese sembrano restie a coinvolgersi in percorsi culturali. Secondo te, da dove dovrebbero iniziare?

“Professor Giuseppe Lupo”: Gli imprenditori dovrebbero riconoscere l’importanza del “racconto d’impresa”, che è cosa diversa dalla promozione pubblicitaria. Raccontarsi in modo autentico significa dotarsi di una coscienza culturale e storica del proprio operato, inserirsi in una tradizione nazionale del fare e del pensare. L’impresa non è un’isola, ma un nodo in una rete culturale.

“Sulle tracce di Adriano”: Questo implica anche aprirsi a figure umanistiche all’interno dell’azienda?

“Professor Giuseppe Lupo”: Esattamente. L’umanista non serve solo a scrivere un libro commemorativo, ma può contribuire a costruire l’autocoscienza dell’impresa. È un ruolo progettuale. Pensate a Mario Chu, che creava team composti da tecnici e umanisti.

“Sulle tracce di Adriano”: Come si può evitare che l’umanesimo in azienda diventi solo marketing?

“Professor Giuseppe Lupo”: Serve autenticità. Oggi Olivetti viene spesso ridotto a una cartolina. Viene esibito, ma raramente compreso. Non possiamo imporre un modello; dobbiamo stimolare un cambiamento di paradigma. Il rispetto per i lavoratori, ad esempio, passa anche dalla partecipazione – idealmente, l’impresa dovrebbe appartenere anche a chi ci lavora. Parliamo di condivisione del destino aziendale.

“Sulle tracce di Adriano”: In questo senso, l’umanità in azienda si traduce anche in forme concrete?

“Professor Giuseppe Lupo”: Sì, ma non solo nei benefit o nella mensa aziendale. Parlo di un rispetto reale, che si manifesta anche nella condivisione economica e nella valorizzazione delle competenze, non solo dell’anzianità. È una questione culturale. La cultura può rendere l’impresa più produttiva e più umana.

“Sulle tracce di Adriano”: A proposito di cultura, quanto i giovani oggi cercano aziende “umane”?

“Professor Giuseppe Lupo”: Molti giovani rifiutano il compromesso. Vogliono fare ciò per cui hanno studiato. Non accettano più il concetto di gavetta come lo intendevamo noi. Questo può sembrare presunzione, ma è anche un desiderio di coerenza e significato. L’umanesimo può aiutare a far dialogare le generazioni, ma occorre mediazione tra esigenze e possibilità.

“Sulle tracce di Adriano”: Se potessi lanciare un messaggio a una platea di imprenditori, cosa diresti?

“Professor Giuseppe Lupo”: Direi loro che non hanno davanti numeri o statistiche, ma persone. Ogni lavoratore è portatore di desideri, non solo di aspettative. E il lavoro non è solo sussistenza, ma anche realizzazione. È questo il senso che l’impresa dovrebbe contribuire a costruire.

Nel solco di quella tradizione che vede nell’intellettuale non solo un custode del sapere, ma un costruttore di comunità, Giuseppe Lupo si muove come un artigiano della parola. Nato nel cuore dell’Irpinia, terra di margini e profondità, ha scelto di abitare il confine tra la memoria e il futuro, tra la letteratura e l’impegno civile, tra l’università e la narrazione. In lui, la lezione di Adriano Olivetti – l’idea che cultura, lavoro e spiritualità possano convivere in una visione armonica dell’uomo – trova una eco lucida e contemporanea.

Professore di Letteratura italiana contemporanea, Lupo non è solo un accademico: è un seminatore di senso, capace di restituire alla parola scritta la sua funzione di ponte tra generazioni, territori, sogni collettivi. I suoi romanzi raccontano l’Italia dei visionari, dei fondatori di utopie, di chi ha creduto nel riscatto del Sud attraverso il lavoro, l’educazione, la bellezza. È il racconto di una modernità che non ha dimenticato le radici: una modernità comunitaria, come avrebbe detto Olivetti, fondata non sul profitto ma sull’etica del progetto condiviso.

Nel suo pensiero, l’industria non è solo fabbrica, ma luogo di cultura, officina di futuro, spazio educativo. È lo stesso spirito che animava Ivrea e le sue biblioteche operaie, i suoi circoli culturali, le sue riviste: una fiducia profonda nella capacità dell’uomo di migliorarsi attraverso la conoscenza e la responsabilità.

Lupo ha scritto dei grandi narratori del Novecento come di testimoni di una civiltà; ma è anche egli stesso un testimone: con la sua opera, ci ricorda che l’Italia può ancora essere pensata come un laboratorio di civiltà, se solo si ascoltano le voci delle sue periferie, delle sue fabbriche dismesse, delle sue scuole di provincia.

Nel tempo della velocità e della disattenzione, Giuseppe Lupo coltiva lentezza e profondità. Non a caso, nel suo linguaggio, tornano spesso parole come “comunità”, “speranza”, “visione”. E in questo, forse, risiede il suo insegnamento più olivettiano: l’idea che la letteratura, come la politica e l’impresa, debba essere al servizio dell’uomo.