La forza delle parole

Le parole seguono i loro percorsi. Cariche del loro significato contaminano le persone che incontrano. Ai più danno uno strumento per comunicare, ad altri, una minoranza, le parole danno la forza di cambiare o, in alcuni casi, addirittura di trasformare una comunità. Le parole non si domandano se la forza che trasforma sia la loro o di chi li ascolta, se stiano producendo un cambiamento o meno. Le parole contaminano e proseguono per la loro strada. Sì, perché, in verità, le parole sanno che la forza trasformatrice risiede nelle persone; le parole, in questo caso, sono una miccia che libera la propria forza quando incontrano un interlocutore che le accoglie in sé, si libera dai vincoli e agisce.

Paolo Mamo, comunicatore, intellettuale e fondatore di Altavia, della quale è stato amministratore delegato negli ultimi 25 anni, ha scelto di cambiare il mondo con le parole. Tra tutte le parole che ha incontrato, Paolo ha sviluppato una particolare sensibilità per la parola “umanità”: segnerà la sua vita. È difficile stabilire quando Paolo ha cominciato a farsi guidare coscientemente dall’ “umanità”. Possiamo invece ipotizzare quando ha ricevuto una specie di imprinting. Probabilmente è accaduto quando era bambino e quando un certo imprenditore di Ivrea che produceva macchine da scrivere, amico di famiglia, ogni tanto andava a trovare i suoi.

Il sogno

Paolo Mamo nasce a Milano. È il più piccolo di tre fratelli e si racconta così: “Quando ero piccolo, ero proprio un bambino piccolo rispetto ai miei coetanei e forse è anche per questo che ho sempre sognato di fare qualcosa di grande, anche se, allora, non sapevo bene cosa”.

È affascinato da Riccardo, il padre, un imprenditore ambizioso con una certa visione che ama scommettere sulle imprese, soprattutto quelle nelle quali riconosce la bellezza di un progetto. Di fronte alla bellezza, Riccardo è disposto a investire anche sacrificando la redditività. La madre, Maria Tchou Mei Lin è figlia dell’ambasciatore cinese presso la Santa Sede. Il nonno, arrivato in Italia a cavallo degli anni 20-30 non lascerà più il nostro paese. Maria, infatti nasce in Italia. Ha una passione per le belle arti tanto da frequentare spegni l’Accademia, dove si innamora perdutamente dell’architettura.

Alla ricerca della propria strada

Raggiunta la maggiore età Paolo, appassionato di spettacolo, si iscrive al Dams di Bologna. È l’inizio di un periodo complesso della sua vita. Lavora e studia perché il padre si era sempre impegnato ad assistere i figli nella loro educazione solo fino alla quinta liceo. Paolo stenta a trovare la sua strada. Dopo due anni, che Paolo definisce meravigliosi, si trasferisce a Milano. Si iscrive a filosofia e si avvicina alla pedagogia, che ben presto diventa la sua passione e una quasi-professione. Paolo, infatti, mette a frutto questi studi creando, con alcuni compagni d’università, una società che seguendo principi innovativi, organizza vacanze per ragazzi dai 6 ai 16 anni. Paolo pensa di aver trovato la sua strada. Il progetto ha successo ma, purtroppo, non è abbastanza redditizio. Così, finiti gli studi, si ritrova nella condizione di avere bisogno di un lavoro sufficientemente remunerato. È così che entra nell’azienda di sua moglie, una grande industria grafica, nota per la sua qualità. Paolo non riesce a limitarsi fare bene il proprio compito. Le esperienze e gli studi fatti in campi così diversi lo rendono inquieto di fronte alle modalità di lavoro vecchie e incrostate. Paolo è abituato a guardare dove gli altri non guardano e vede cose che gli altri non vedono. Per questo sperimenta nuovi approcci. Sperimenta nuove strategie. Sperimenta spinto da un’altra parola: innovazione. Nell’azienda di famiglia elabora una nuova strategia commerciale grazie alla quale arrivano clienti importanti e l’azienda cresce. Ma gli manca qualcosa. “Ero entrato in azienda perché era una opportunità di guadagno ma non mi vedevo a fare un lavoro esclusivamente legato al fatto di fare denaro. La mia idea di lavoro, quello che volevo fare, era un lavoro che mi piacesse, se possibile utile al mondo e soprattutto alla mia famiglia”.

Inconsapevolmente, Paolo si sta preparando a diventare imprenditore.

L’imprinting Olivettiano

I “cromosomi olivettiani” erano pronti ad entrare in azione. “Conoscere Adriano Olivetti non poteva non influenzare la mia famiglia e quindi anche me. Il suo carisma, le sue idee originali e la loro messa in pratica ne facevano già un punto di riferimento. Per noi significava molto di più per il fatto che mio zio (Mario  Tchou n.d.a.) era uno dei collaboratori più stretti di Adriano”. Con il passare degli anni il discorso olivettiano si annacqua prima ed è dimenticato poi. Viene ripreso quando Adriano Olivetti diventa l’icona dell’imprenditoria umana. È stato in quel momento che Paolo ha recuperato i ricordi e li ha razionalizzati. Più Paolo era consapevole dell’importanza del modello di via Jarvis più cresceva l’orgoglio.

“Mi rende orgoglioso il fatto che si potesse immaginare e che si fosse costruita un’impresa che mettesse al centro l’uomo. E di quest’impresa il racconto di mio zio, che era veramente un ragazzo quando ha cominciato a lavorare in Olivetti sul progetto del primo computer italiano, mi portava ad identificarmi”.

Nasce l’imprenditore

È quindi il 1997 quando Paolo costituisce l’agenzia di comunicazione Altavia. I clienti sono studi di design che , a loro volta, hanno come clienti il settore retail. E come è già capitato, quando la filosofia lo aveva avvicinato alla pedagogia, il design lo avvicina all’architettura che presto diventerà una nuova passione. Il design e l’architettura sono elementi fondamentali per il successo di un punto vendita perché la realizzazione degli spazi e la comunicazione devono essere efficaci.

Umanità.

Nell’Altavia di Paolo l’umanità è l’elemento centrale, il lascito dell’epopea di Adriano Olivetti. L’umanità con la bellezza, la comunità e l’innovazione sono lì a testimoniare che anche in azienda è possibile realizzare un luogo dove l’uomo “sente” di poter esprimere il proprio potenziale al massimo

Le incertezze che accompagnano la nascita di una nuova impresa non fanno derogare Paolo dalle idee e dai principi che intende incardinare al centro della sua impresa. L’impronta di Adriano Olivetti è evidente. “La prima cosa che mi sono ripromesso di fare era creare una società dove il lunedì mattina le persone sarebbero state contente di venire a lavorare. L’idea di realizzare una sede come quella in cui ci troviamo, è nata proprio per rendere tangibile il valore della felicità”. La sede di Altavia sul Naviglio Pavese è stata costruita intorno a un cortile verde: gli uffici, un bar e un ristorante aperti a tutto il quartiere, un posto dove incontrare, ascoltare, confrontarsi.

La felicità.

Il confronto si sofferma sulla felicità. “Penso, ma è un eufemismo, che si debba cercare la felicità delle persone. E sono convinto che in passato è stato così per tutte le persone che mi hanno frequentato professionalmente e non”. La ricerca della felicità non è un’aspirazione “buttata lì” con superficialità e retorica. “Non so se sono riuscito a rendere le persone felici di lavorare nella mia Altavia. Anche se il mio “orologio interno” mi dice di sì. Perché se qualcuno è infelice mi contagia immediatamente”.

L’ingrediente irrinunciabile per la felicità in azienda è far partecipare tutte le persone al progetto: poter condividere le ambizioni e gli obiettivi crea appartenenza.

L’imprenditore non soppianta l’intellettuale. La tensione di Paolo verso il costruire un mondo migliore lo vede protagonista. Nel 2022 pubblica il libro “Retail: il futuro è fatto di scelte. Tempo, spazio, qualità e convenienza, nuove coordinate per un’innovazione sostenibile”. La pubblicazione del libro era stata preparata da quattro talk show tenuti nei mesi precedenti, eventi ai quali sono stato onorato di partecipare. Il punto essenziale era “riportare l’umanità al  tavolo” tutte le volte che si è tentati, per le più svariate ragioni, di allontanarsene.

Nel 2021 Paolo diventa presidente di PLEF (Planet Life Economy Foundation). La sua impronta è decisa. Il “Green retail forum”, l’appuntamento annuale della fondazione per confrontarsi sulla sostenibilità del settore retail, dopo 13 anni, cambia nome e diventa “Human & Green retail forum”.

Epilogo

Seguendo i loro percorsi le parole hanno incontrato e contaminato Paolo Mamo. L’umanità non è un mezzo per raggiungere un obiettivo, è una condizione esistenziale. Sì, perché Paolo Mamo ci ha fatto comprendere che l’umanità va vissuta: non c’è altro modo di intenderla.